Quando gli interessi delle lobby battono la ragione ed espugnano la politica, il futuro diventa cupo, realizzando scenari opposti a quelli auspicati. Una lezione in tal senso arriva direttamente dal riso biologico.
Per salvare il Mondo dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento e dalla deforestazione si dovrebbe convertire a biologico la più ampia porzione di Terra possibile. Questa, in sintesi, gli storytelling pandemici con cui le lobby del bio sono riuscite a infettare ampie porzioni del Pianeta. A partire da quell’Europa che vorrebbe alzare dall’otto al 25 per cento le superfici continentali coltivate a biologico per abbassare le sue emissioni per unità di superficie e ridurre di conseguenza il proprio carbon footprint, pavoneggiandosi poi davanti al resto del Globo con la corona mondiale del primato green.
Peccato che le emissioni specifiche dei gas serra, quelle riferite a ogni chilo di cibo raccolto, per gran parte dei prodotti bio siano superiori a quelle realizzate dalle coltivazioni tradizionali. E nella dizione “gran parte” rientrano tutti i prodotti fondamentali come per esempio il riso, terzo cereale al Mondo per consumo. Diverse ricerche hanno infatti dimostrato che sezionando i diversi impatti derivanti da agricoltura convenzionale, integrata e biologica, quest’ultima non ne esce affatto bene, producendo più emissioni rispetto alle conduzioni considerate a torto “industriali”.
Ciò perché produce meno per ettaro, quindi la supremazia “eco” espressa in termini di superficie diventa una débâcle se calcolata per unità prodotta. Il tutto, al lordo dei furfanti che pur aderendo ai disciplinari bio usano di nascosto fertilizzanti e agrofarmaci di sintesi, pompando le rese in modo truffaldino. A sostegno delle tesi su esposte è giunta una ricerca italiana del 2016 in cui sono stati valutati 11 diversi parametri di impatto ambientale. L’unico in cui la risicoltura integrata ha perso il confronto con quella bio è stato quello relativo agli agrofarmaci nelle acque. In sostanza la partita è finita col punteggio di dieci a uno con le note più dolenti per il bio proprio sulle emissioni di gas serra.
Maggiori rese per il convenzionale
Un confronto era già stato proposto da alcuni ricercatori giapponesi nel 2009, quando la risicoltura convenzionale e quella integrata batterono quella bio esprimendo emissioni per chilo di prodotto inferiori. Le risaie convenzionali raccolsero quasi sei tonnellate di riso per ettaro, le integrate si fermarono poco sotto mentre le biologiche non erano arrivate nemmeno a cinque, con una differenza di rese superiore alla differenza di emissioni espresse per superficie.
Purtroppo, la risicoltura convenzionale produsse sì il 20 per cento in più di quella bio, ma a causa del divario nei prezzi incassò il 18 per cento in meno. Per la medesima ragione, anche la risicoltura integrata fu sotto del 14 per cento pur avendo prodotto il 12 per cento in più. L’aspetto economico è quindi alla base della crescita del bio, confermando che il primo nemico dell’ambiente sono gli interessi di lobby. Alle maggiori emissioni per chilo di riso prodotto si aggiunge peraltro anche un aspetto che non è stato contemplato dalle ricerche comparative più recenti, cioè quello sull’avifauna tipica delle risaie. Nel 2017, durante il Convegno italiano di ornitologia, sono stati infatti condivisi i risultati di una ricerca sugli effetti dei teli plastici utilizzati nel bio per sostituire i diserbi, mantenendo ovviamente in asciutta le risaie per molte settimane.
Osservazioni, quelle prodotte dagli ornitologi, che sarebbero da tenere a mente prima di stendere teli o di dare contributi in nome di una eco-sostenibilità che è solo millantata. Nelle risaie convenzionali sono state rinvenute molte più specie avicole e molti più individui rispetto a quelle pacciamate, 17 specie di cui sei dominanti contro sette, di cui tre dominanti. Con l’airone cinerino, simbolo delle risaie, che ha mostrato un rapporto superiore a tre a uno, salito a dieci a uno per l’airone guardabuoi e addirittura a 31 a uno per le garzette.
Ovvio, visto che questi uccelli vivono per lo più di anfibi e altri organismi tipici degli ambienti acquatici. Quindi senz’acqua, e per giunta con i teli, di cibo non ne trovano affatto e se ne vanno a prosperare nelle risaie convenzionali. A dimostrazione che non sono i diserbanti a falcidiarne il numero, bensì le speculazioni economiche col trucco ambientalistico. Ben farebbe quindi la stampa generalista a puntare i suoi riflettori su quelle realtà che accusano l’agricoltura integrata di avvelenare il Mondo quando, al contrario, è l’unica soluzione giusta per salvarlo.